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LA MORTE DELL’EGO - Stephen Levine

Il giorno in cui mi sono risvegliato senza nessun centro di gravità, il mio cuore seppe che la mente era esplosa. Dove una volta crescevano ordinatamente i miei capelli c’era un pentolone aperto. Sembravo un carattere da cartone animato di me stesso sognato per evitare che la mente si annoiasse.
Quando, nel 1975, ero passato attraverso la notte oscura del nostro dolore collettivo, mentre studiavo con Sujata, era stata solo la prima di quel genere di iniziazione destabilizzante che avvenne negli anni.
Si manifestarono una serie di esperienze in cui non si trovava nessun sé separato, che dapprima mi lasciarono alquanto smarrito e attonito.
Infatti si preparava una notte ancora più oscura per l’anima, quella che l’ego vuole chiamare “morte dell’ego”. Ma l’ego non muore realmente; ha solo un’esperienza di premorte. Semplicemente estende il sé nel Sé diventando irriconoscibile mentre si espande al di là di difetti personali e false identità stabilizzate nel tempo.

La morte dell’ego è quando la nostra idea di chi siamo rompe i suoi confini.
Presumiamo che la morte dell’ego sia la fine di una nostra grandezza duramente costruita, ma in realtà è la fine della nostra piccolezza.
In quello che viene chiamato morte dell’ego si deve ricordare che la parola “ego” significa semplicemente “io sono” e che è il senso dell’”io” che viene trasformato, non la “essenza” (am-ness senza “I”) che è essere eterno.
Ascoltando, passando oltre a tutti i brontolamenti ed esplosioni del rigido sé, la coscienza si sistema nel campo della sensazione esplorando il senso di presenza. Entrando dapprima nelle sensazioni che sono alla base della credenza di esistere troviamo un flusso di sensazioni di momento-in-momento, e si nota che l’”io sono” è solo un pensiero a posteriori. Non realmente “colui che fa” ma solo un altro fare.
Tutto si dissolve come un fiore soffiato nell’aria. Più profondo vai meno la ricerca è coinvolta nel “Chi” o nel “io” del “Chi sono io?” Ma diventa più una riflessione su e della “essenza” senza fine. Rimane solo l’essenza senza fine di essere, la cosa in sè (suchness) senza morte, a rispondere silenziosamente alla domanda…..

…..Nel corso del rompere gli stretti confini dell’immagine di sé diventa disponibile un intero mondo nuovo: trovi chi non sei, incluso la tua sofferenza, e questo spazza via la maggior parte della nostra preziosa/dolorosa identità. Questo può essere all’inizio un po’ destabilizzante….
….Giusto prima che la mia maschera cadesse guardai all’indietro alla mia vita come se fosse veramente la mia. Era posseduta dalla memoria. Ma man mano che passavo dietro le apparenze ben intessute la storia veniva disfatta.
I nodi che tenevano l’illusione in piedo si scioglievano. La sofferenza difesa così a lungo si dissolse come un sorriso mentre un vento karmico afferrava l’estremità (dei nodi) e tirava…In transito verso l’ignoto….
……Mentre le esperienze che sfidavano l’ego continuavano, attraversando una terra di nessuno al di là dei confini della mente abituale, sembrava ben lontano un qualunque cosa che assomigliasse a un volto famigliare, particolarmente il mio.
Notavo quella paura del vicino-al-limite auto protettiva, auto sconfiggente che galleggiava lì vicino. Una nausea sottile cominciò a nascere nelle budella.
La paura liberamente galleggiante dell’ignoto, che tentava di placare ogni ansietà cercando di girarci attorno, segnala l’andare al di là del nostro limite per entrare nel nostro grande ignoto…
Tutto quello che ordinariamente sembra così solido e adorna la preziosa costruzione mentale dl sé non era più capace di sostenere il suo stesso peso.
Aprendoci nella Grande Mente (il Sé per i buddisti) senza attaccarci né condannare il momento-in-momento, che si manifesta in stati della mente in rapido cambiamento, cominciamo a notare come un pensiero si dissolve nell’altro, meccanicamente.

Osservando la coscienza più come un processo che come un contenuto continuiamo con compassione e consapevolezza, con gratitudine e amore per tutte le identità ferite e morenti abbandonate per la strada. Tutte identità che sporcano il sentiero, come il figlio, padre, uomo, poeta, meditatore, cercatore, insegnate, santo, pazzo. Passando attraverso la paura che una volta teneva a posto la mia sofferenza, quella che era stato un guardiano terrificante stava diventando gradualmente come una guida turistica.
La vita ha avuto accesso ad ancora un altro livello….
Osservando dal punto di immobilità del cuore ogni cosa come pensiero (NOTA 1)

Nessuna realtà se non il pensiero.
Nulla di cui aver paura e nessuno che abbia paura.
Anche colui che pensa è solo un pensiero…

Dopo anni di incontri con una consapevolezza compassionevole questa paura che annuncia aperture ancor più grandi veniva ora accolta con gratitudine genuina (NOTA 2) . E c’è pochissima inclinazione a fermare la paura o a proteggere il limite mentre livelli dopo livelli di lasciar andare permettono di lasciar cadere i propri confini immaginari uno dopo l’altro.
Proprio sopra al bordo sopra agli occhi che ci separa dalla preistoria un essere inimmaginabile si espande in uno spazio inconcepibile.
Questa vista senza confini può far nascere dei meccanismi di sopravvivenza che emanano un terrore più grande del morire: la paura della non-esistenza. Questa vastità non famigliare che non offre nessuna pietra miliare o vecchie tracce, può facilmente disorientare la piccola mente e gettarla in una “notte oscura”. Occasionalmente può nascere una sensazione di essere smarrito in uno spazio senza confini che può dar luogo a una confusione di identità e sofferenza.
Naturalmente dire che non c’è nessun sé è assurdo e fuorviante. Il sé è un esempio perfetto di quello che viene chiamata una “illusione reale”. Il sé è semplicemente un idea di sé stesso. Un concetto a lungo afferrato che riflette le paure della mente come lo stagno di Narciso. Naturalmente c’è un sé; è una costruzione mentale, una fantasia di chi siamo accumulata nel tempo. Dire che questo pensiero- “sé” - non è fondato su nulla di reale che dimori in modo autonomo al centro sarebbe più accurato. Dire che non c’è nulla di più piccolo che la nostra enormità essenziale, che potremmo pensare di chiamare “io”, sarebbe più vicino alla verità.
Quando facciamo esperienza di livelli di coscienza in cui pensieri di sé e ogni altro pensiero hanno lo stesso peso, e sono apprezzati in modo eguale da una coscienza indifferenziata, senza differenziazione tra l’idea di noi stessi e l’idea degli altri, allora ne consegue una deliziosa assenza di ego.
…L’ego/sé desidera essere presente al suo funerale; ha lavorato al suo necrologio per la maggior parte della sua vita. Nulla lo renderebbe più orgoglioso, identificandosi con le filosofie del non-sé, che vedere di essere stato sradicato…..
….Con l’esperienza della morte dell’ego, come con la morte fisica, è più facile morire che rimanere morti, e che cosa fai con la dolorosa vecchia immagine di sé dopo la vista dell’al di là?
Dopo aver visto la natura del pensare e del pensatore?
Dopo che sono realizzate le origini della coscienza?
Dopo che la forma e tutto quello che conosciamo e crediamo non appaiono altro che una minuscola bolla sulla punta della schiuma di una piccolissima onda tra le innumerevoli onde più grandi di un oceano senza confini?
Forse la risposta migliore su che cosa fare dopo che uno si risveglia è quella offerta da Kerouac nei ‘Vagabondi del Dharma’: quando gli fu chiesto cosa avrebbe fatto col resto della sua vita rispose “semplicemente la guarderò”.
Decostruire le compulsioni di una data personalità richiede forza e coraggio.
Andare oltre il famigliare e aprirsi al miracolo transpersonale e universale di semplicemente essere è sbloccare la personalità Non curarla, naturalmente, ma semplicemente offrirle un po’ di amorevole attenzione e guarigione. Allentarne alcuni dei nodi e vivere un po’ più leggermente, relazionandoci al- piuttosto che dal -la mente ordinaria orientata nel caos.
Un’improvvisa comprensione di cuore mi ha detto: taglia fuori l’uomo di mezzo, il proprietario interprete dei sensi. Vivi direttamente. La verità risiede come una grazia dormiente nelle cellule come dei fiori nascosti in una foresta tropicale che attende di venir curata quando la sua malattia viene riconosciuta.
La verità più profonda non può essere raccontata, il mistero non ha nulla su cui la sua lingua può parlare. Solo l’illusione può essere descritta.
Ma osservando la personalità chiaramente non ero quella, ma piuttosto la coscienza con cui veniva vista. Lo spazio luminoso tra gli atomi e i desideri che la creavano.
La personalità per quanto potesse sembrare mal armonizzata poteva tuttavia venire riconosciuta come una dinamica necessaria in questo stadio dell’evoluzione. Come uno non può avere una voce senza un tono di voce così non possiamo avere essere senza un modo di essere, una personalità.

La nostra personalità è la forma del nostro dolore, il modo in cui affrontiamo il nostro dolore. Un meccanismo di sopravvivenza, un forza dinamica che di vita in vita beneficia molto degli insegnamenti del cuore.
Vista come la personalità invece che la mia personalità, si acquieta e smette di prendersi così seriamente facendo così esperienza di un senso di essere espanso, del personale che si unisce all’universale
Passando attraverso strati e strati di coscienza arriva un silenzio così profondo che la forma non si può manifestare. Ne segue una beatitudine in cui anche una singola molecola può avere spazio per il big bang. E Io Sono Quello (Om Tat Sat)…

From Turning toward the Mystery, by Stephen Levine

NOTA 1 Per molti maestri l’Essere che è tutto e dovunque è anche localizzato nel cuore come un punto di totale immobilità da cui si può accedere all’infinito: entra nel cuore, fermati e uscendo da un’altra ‘parte’ sei dappertutto! - Marifa.

NOTA 2 L’illuminazione è come un fiore di loto in continua apertura, non c’è limite perché ad ogni momento continua ad aprirsi e ad aprirsi in ogni momento che è nuovo, il momento e il suo aprirsi una cosa sola-Marifa.