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IL CAMMINO DOPO IL RISVEGLIO (seconda parte) - Gary Nixon

Ora vediamo come questo lavoro profondo può condurre, inevitabilmente, a lavorare nella pancia, a lasciar andare la contrazione del sé e a vedere che in ogni momento non c’è nessun sé.

Il risveglio della “pancia” : accettare la morte del sé in ogni momento.

E’ nella pancia che le cose si fanno veramente interessanti. Adyashanti (2008) ha fatto notare che una persona può avere una potente esperienza di risveglio ma aver ancora da affrontare il problema di abbracciare il non-sé nella pancia. Nella pancia veniamo ad affrontare il nostro primitivo bisogno di sopravvivenza mentre ci troviamo faccia a faccia col non-sé e la non esistenza. Come diventiamo consapevoli del nostro afferrarci strettamente alla sopravvivenza possiamo fare esperienza di attacchi di panico in cui la paura del non sé può essere soverchiante. Come apriamo le nostre pance possiamo sentire la vastità dell’esistenza e la realtà del senso dell’annichilamento del sé, possiamo sentirci sopraffatti dalla nostra paura di non esistere nel momento e afferrarci disperatamente a un qualche senso di sé nel nodo-contrazione della pancia.

Il punto centrale è imparare a dimorare nell’abisso del non sé. Nel mio cammino questo era un problema enorme. Come può il me muoversi al di là del me? Il problema per un po’ può essere del tipo “so che devo morire ma come lo faccio?” Come può uno fabbricare una morte? Come può il sé mettere fine al sé? Come può un’illusione orchestrare la sua fine? Così possiamo avere molte esperienze di morte profonde ma, come ha sottolineato lo psichiatra Hawkins (2006), dobbiamo fare esperienza della grande morte della nostra esistenza individuale. (anche Ramana Maharshi si è realizzato indagando su chi o cosa moriva veramente e lasciandosi morire in vita ha realizzato. N.d.T.)

Foster (2008): “Devi perdere la tua vita per salvarla. E così quando non c’è ness-uno non c’è un vuoto-vuoto, uno spazio solitario privo di gioia, privo di qualsiasi qualità, no, no, no. Questo vuoto è pieno, è traboccante di vita. Col mare che ruggisce e i gabbiani che gridano e il vento che si infrange sul tuo volto, e una tazza di tè bollente e…la vita, la dannata vita! Il vuoto è pienezza, il vuoto è pienamente vivo, il nulla è vita in tutta la sua magnificenza e quella è la libertà che il cosiddetto individuo non aveva potuto mai trovare” (p.199).

Nel mio viaggio arrivai al punto di realizzare che non erano utili nessuno sforzo o fare per risolvere questo. Diventava solo un ulteriore fare, un ulteriore attrito, un ulteriore afferrare, e più ego. Rendendomi conto che ero senza speranza, inerme, e che non si poteva fare nulla fui proiettato nel momento così com’è. Non si poteva fare nulla, ed era molto rilassante.
Qui, miracolosamente, cambiò l’intera gestalt. Nel mio non-fare divenne chiaro che io pensavo di avere un problema. Ma divenne ovvio che era un’ipotesi sbagliata. Mentre osservavo questo momento, senza nessun sforzo, divenne chiaro che “l’anatra è già fuori dalla bottiglia”! Sono già libero. Non c’è nessuna persona, solo la vastità dell’esistenza. Non ho bisogno di andare da nessuna parte, sono già quello. Ora posso rilassarmi nella consapevolezza di questo…e gioire di questo momento.

Osho (1994): l’arrendersi non è una qualche esperienza ma il vedere che non c’è nessuno qui da arrendersi. In questo momento non c’ è nessun sé, non c’è mai stato un sé. “Se sei intelligente non c’è alcun bisogno di pensare a quello che dico; puoi semplicemente vederlo proprio in questo momento! Dov’è l’ego? C’è silenzio e non c’è passato e non c’è futuro, solo questo momento…e questo cane che abbaia. Questo momento e tu non sei. Lascia che questo momento sia e tu no. E c’è un immenso silenzio, un profondo silenzio, dentro e fuori. E non c’è nessun bisogno di arrendersi perché tu non sei. La resa è il sapere che tu non sei” (Osho 1994, p43).

Sylvester (2006): “Allora alla stazione centrale di Londra, una calda sera d’estate, la persona all’improvviso scompare. Tutto rimane come è, la gente, i treni, i marciapiedi, gli altri oggetti, eppure vengono visti per la prima volta senza che una persona medi o interpreti…In quell’istante viene visto che lì non c’è nessuno. Il senso di essere una persona fino a quel momento era stato costante e aveva dato significato a questa vita. “Per tanti anni non era mai stato messo in questione. Era sempre stato così preso per garantito, come il mio centro e la mia localizzazione che non era stato nemmeno notato. Ora viene visto come una completa ridondanza. All’improvviso è riconosciuto che non ho mai “avuto una vita” perché non c’è mai stato un io. In una frazione di secondo di eternità lo si sa, senza un io. Tutto viene visto per la prima volta così com’è. “Io” non vivo, sono vissuto” (pp15-16)

Per questo corpo-mente il dilemma venne risolto come hanno sopra descritto Osho e Sylvester. Ci fu un vedere che non c’era mai stato nessuno qui. C’è sempre stata per tutto il tempo una libertà totale, solo non me ne rendevo conto. Come ha così giustamente osservato Osho (1994) “Non c’è nulla da fare, nemmeno una cosa, lo dico perché tu sei già quello che vuoi diventare…Vederlo è sufficiente” (p.45). Il paradosso è vedere che la grande morte è già accaduta, mai nato, mai morto. Il vedere è istantaneo…prende solo un istante. Come ha descritto Osho (1978): “Rilassati in questo momento, lascia che questo momento sia. E all’improvviso tutte le stelle esplodono in te. In quel momento sei maturo. E quel momento può diventare la tua vera comprensione silenziosa. Allora vivi come un uomo ordinario, ma vivi in modo straordinario. Allora vivi nel mondo ma non ne sei più parte. In un modo sottile lo hai trasceso. Puoi continuare a fare dei giochi, ma sono solo giochi, tu non li prendi sul serio. E’ tutto una commedia drammatica, una buona commedia, goditela, ma non rimanerne coinvolto” (p.76).

E allora uno realizza che: “Tutti gli esseri sono dei Budda fin dall’inizio. Tu sei stato un Budda all’inizio, sei un Budda nel mezzo, e sarai un Budda alla fine…E’ la tua vera natura. E’ te”. (Osho 1978 p.41) Questa realizzazione può essere uno shock assoluto. L’illuminazione o il risveglio è sempre stato qui, solo non veniva mai visto. Cruciale per tutto questo è vedere che nell’assoluta intensità del momento non c’è nessun sé. Non c’è nessuna persona qui. E non c’è mai stata. E’ solo un vedere. All’improvviso mentre mi rilasso nella non persona qui questo vuoto pieno diventa l’intera esistenza. La chiave è capire che aspettare che accada qualcosa è l’approccio sbagliato. Questo crea il bisogno che accada qualcosa nel tempo quando, di fatto, è tutto qui e ora.

Si può godere dell’umorismo dell’affermazione di Tony Parsons (2000): “prima di tutto non puoi arrivare velocemente dove sei già (risata). Cerca di assorbire davvero questo punto. Vivilo e cerca di vedere profondamente che cosa significa realmente. Il problema è che pensi che debba accadere qualcosa. In realtà sta accadendo continuamente e semplicemente non lo vedi. Non ho nulla che tu non abbia. La differenza è che non cerco più nulla. Questo è quello che è ed è la fine di tutto il cercare. Lascia andare il cercare qualcosa che debba accadere e innamorati, innamorati intimamente del dono della presenza in quello che è. Qui, proprio qui, è la sede di quello che hai sempre agognato: e’ semplice e ordinario e magnifico. Vedi? Sei già a casa” (p138). Questo è tutto ed è la fine della ricerca.

Ora considereremo un caso pratico che illustra la necessità di un vedere che in ogni momento qui non c’è nessuno.

Il bisogno di controllo di Tom

Una persona può godere la libertà di molte esperienze mentre dimora nell’essere (beingness) non-duale e tuttavia, nello stesso tempo, può avere molti semi crudi che danno vita a un sé separato. A un livello sottile ci possono essere i semi di quelle che Almaas chiamerebbe “relazioni oggettuali internalizzate sé-altro” (1966).

Ho trovato che si deve lasciare andare tutto e accettare la morte in questo momento. Non c’è nulla a cui attaccarsi, nessun conoscere, e nessun sé e si è liberi di abbracciare l’ “ipseità” del momento.

Krishnamurti (1954) ha passato molto tempo a insegnare la saggezza dell’insicurezza in cui non può esistere qualcosa come una sicurezza psicologica. Diceva: “Quando c’è un desiderio di proteggersi c’è paura. Quando vedo la fallacia di esigere sicurezza non accumulo più (p.84). Il paradosso è che qualunque cosa la mente faccia per liberarsi dalla paura causa paura” (p.85). Le strategie che usiamo per neutralizzare la paura in realtà causano paura. Più cerchiamo di essere sicuri più timorosi diventiamo.

Ora veniamo al caso di psicoterapia non-duale, un mio associato non–duale, Tom (pseudonimo), che stava preparando una presentazione sulla trasformazione non-duale. Gli dissi che quando uno parla del non-duale diventa chiaro che non c’è nessun rifugio sicuro da nessuna parte. Lui non afferrò completamente quello che intendevo interpretando le mie parole a significare che forse avrebbe dovuto lasciar andare tutti i punti forti che intendeva presentare.
Mi era già chiaro che, anche se Tom veniva da un posto dove principalmente dimorava nell’essere non–duale, c’era ancora in lui un seme sottile dove aveva il desiderio di fare un discorso che facesse impressione e di essere apprezzato dagli altri. Tom, a suo modo, stava ancora esigendo e sperando di avere uno rispecchiamento dall’altro che lo apprezzava. Tom era preso nell’illusione di poter creare una sicurezza psicologica e la sua mente stava arrovellandosi nel tentativo disperato di crearla.

Lo guardai e lo invitai ad accettare consciamente la sensazione che stava collassando e fallendo totalmente invece di resisterle. Gli chiesi “puoi accettare che per la mente non c’è nessuna risposta e lasciarti morire proprio qui, proprio adesso?” Morire consciamente nel momento era la sua sfida. Tom aveva bisogno di abbracciare la morte, qui e ora, e lasciar andare i suoi desideri del sé di apprezzamento, e rispecchiamento positivo e di avere riconosciuta la sua saggezza. Tuttavia in pochi secondi smise di tentare di salvarsi e un’improvvisa calma profonda e un vasta presenza fluida venne su di lui. Era in un oceano di energia luminosa e trasparente mentre si muoveva nell’essere del non-sé. Il suo essere aveva una radiosità brillante. Rideva nell’estasi del momento mentre non si attaccava più al sé. “Ho lasciato andare tutto, Sono O.K.” diceva “ Posso fare questa presentazione” L’impresa della sua coscienza ora era di rimanere in questo stato durante il discorso. Dopo la presentazione Tom riferì di essere stato capace di rimanere in questo stato per la maggior parte del tempo, eccetto alcuni momenti in cui la mente turbinava e cercava di aggrapparsi a qualcosa in risposta a una domanda difficile. Tuttavia, ancora una volta, fu in grado di lasciarlo andare rapidamente e di dimorare nel momento presente. Nell’insieme Tom aveva trovato questa intera esperienza di morire al suo discorso una grande opportunità di trasformazione.

Conclusione

Noi tutti speriamo segretamente, dopo il risveglio, di essere in un posto così continuamente profondo che il nostro fuoco del risveglio bruci tutti i nostri problemi. Come il famoso mistico non duale, Ramana Maharshi, vogliamo celebrare un risveglio che non ci richiede di continuare a lavorare sui nostri problemi. Sfortunatamente per la maggior parte di noi non è questo il caso e abbiamo molto da elaborare. L’invito a realizzare che qui non c’è nessuno e ad essere liberi nelle nostre menti, cuori e pance è sempre disponibile. Tuttavia c’è una tendenza a venire tirati indietro nei nostri modi del sé separato. Ogni momento ci presenta un nuovo invito di arrenderci e di lavorare sulle modalità rigide della mente o sui sentimenti di giudizio e di ritornare ad abbracciare l’assenza del sé nelle nostre pance, permettendoci di muoverci da un posto di vuoto pieno e della presenza amorevole nel momento. Piuttosto che nascondere i nostri problemi sotto il concetto dl risveglio qui c’è l’invito a continuare a lavorare sui nostri problemi così che possiamo dimorare in un posto dello stato naturale di risveglio, partecipando pienamente al mistero di una vita incarnata.
Paradoxica: Journal of Nondual Psychology, Vol. 3: Spring 2011

Commento: Nella tradizione viene usato spesso “sé non separato” al posto di “non-sé”, dando vita al concetto del grande Sé. La realtà sarebbe un unico immenso Sé. Per la mente questo concetto diventa un rifugio in cui consolarsi e un nuovo straordinario obiettivo di ricerca. La ricerca spirituale è sostanzialmente il perseguimento di questo grande incontro finale. Ricordati: chi è in ricerca, per definizione, non ha (ancora) trovato. E non potrà mai trovare finchè cerca! Abbandona la mente-che-ricerca e immediatamente ti riconosci a casa. Nisargadatta: chi siamo è aldilà di qualunque percezione e comprensione.

Gary Nixon PhD., è uno psicologo transpersonale non duale e professore nel programma di Addicition Counselling (Counselling sulle assuefazioni) all’università di Lethbridge. Negli ultimi 10 anni ha condotto gruppi di trasformazione non duale e consulenze individuali di psicologia transpersonale.


Bibliografia
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Foster, J. (2008). An extraordinary absence: Liberation in the midst of a very ordinary life. Salisbury, UK: Non-Duality Press.
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To contact the author: Gary Nixon, Ph.D., Faculty of Health Sciences, University of Lethbridge, 4401 University Drive, Let