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TERAPIA DEL RISVEGLIO - GARY NIXON



Lasciare andare la contrazione del sé separato

E’ evidente che ognuno nel viaggio di trasformazione deve affrontare il problema della sua morte. Non è sufficiente essere semplicemente un testimone del cosmo perché questo implica una specie di sottile ritiro dall’esistenza e una sottile contrazione del sé separato: bisogna vedere attraverso l’illusione del sé separato.

L' “incontro” dell'autore con la morte dell’ego:
 “Mi risvegliai all’improvviso preso dal terrore. Potevo vedermi aggrapparmi a un sé che cercava di sopravvivere per sempre. Era come se il sé potesse lottare per un eternità per continuare ad esistere ma vivendo continuamente nella paura della sua estinzione. Era una sensazione terribile di terrore considerare che il sé potesse rimanere senza fine  in uno stato di totale paura. Potevo capire con chiarezza che non c’era nulla a cui afferrarmi; che “l’assoluta mancanza di speranza della situazione, mollai tutto o, meglio, il lasciar andare accadde spontaneamente. E allora, all’improvviso, ci fu una vasta immobilità e silenzio”.
Mi sono lasciato andare e mi sono rilassato in questa nuova consapevolezza che per questo corpo morire qui e ora è una  cosa appropriata, che è per questo che sono qui. Questa non è stata una rassegnazione a qualcosa di non voluto ma un’accettazione di tutto cuore e un arrendersi nella gioia di quello che sento giusto e perfetto. Così ‘facendo’ in pochi attimi  l’intero pensiero e sentimento e i sintomi fisici di estrema paura per la mia vita si sono dissolti e hanno fatto spazio a una pura accettazione gioiosa che neanche la certezza della morte hanno potuto togliere”.

Il lavoro per risolvere la contrazione del sé separato

Molti terapisti si sono risvegliati a intuizioni simili alla mia: si sono mossi al di là dell’illusione di un sé separato. Pendergast aveva parlato di psicologi transpersonali che individuavano la coscienza non-duale come uno stato sperimentato raramente al culmine della realizzazione di sé. Tuttavia una nuova generazione di terapisti e insegnanti sta cominciando a vedere quanto sia accessibile la coscienza non-duale nel lavoro psicoterapeutico coi clienti.

La coscienza non-duale è al cuore di innumerevoli cammini verso l’illuminazione incluso il Vedanta indù, molte scuole di buddismo, il cristianesimo mistico, il giudaismo e l’islam. Si riferisce alla comprensione e all’esperienza diretta della coscienza fondamentale che sottostà alla distinzione apparente tra percepiente e percepito. I terapisti transpersonali che abbracciano la tradizione non-duale possono dimorare semplicemente nella presenza: essi realizzano, almeno in parte, che non sono limitati al ruolo di “terapisti” (anche se possono funzionare in quel ruolo) e nemmeno di una “persona”. La localizzazione della loro identità è o il dimorare nel o il muoversi verso la coscienza non condizionata, o Presenza.

Il risultato è l’emergere di un semplicità naturale, trasparenza, chiarezza  e calda accettazione di qualunque cosa si manifesti dentro di loro e i loro clienti. Poiché sempre di più non si prendono per un qualche “cosa” non prendono neanche i loro clienti per oggetti separati da loro stessi. Capiscono che non c’è uno specchio separato e un qualcuno che viene specchiato; c’è solo il rispecchiare (la coscienza è il testimone di se stessa N.d.T.)
La psicoterapia implica tipicamente un lavorare nella dimensione orizzontale, con l’evoluzione della vita fenomenica nel tempo e nello spazio. La coscienza non-duale si riferisce a quello che è senza forma ed esiste fuori dallo spazio-tempo, aggiungendo quindi una dimensione verticale. In aggiunta Pendergast ha osservato che non è tanto il terapista non-duale che integra l’essere ma piuttosto ne viene assorbito, e quindi la presenza viene esaltata e questo può essere contagioso: “quando siamo in Presenza di un individuo che si è risvegliato dal sogno del “me” possiamo sentire un’assenza di pretenziosità, una chiarezza luminosa, una trasparenza, gioia e rilassatezza d’essere”.

….Il cilente così scopre che i suoi problemi erano tutti il risultato e l’espressione compensatoria di questa difesa contro quello che a prima vista sembra essere un’annichilazione e che, nel tempo, si rivela come amore incondizionato. “Ogni cosa viene abbracciata e accettata semplicemente così come è e mentre il risveglio si approfondisce, la mente giudicante perde la sua presa e l’attenzione diventa sempre più innocente, intima e impersonalmente affettuosa”.
Durante il processo terapeutico viene toccato il nucleo della contrazione del sé separato del cliente e la risonanza empatica tra cliente e terapista aiuta a guarire il dolore della separazione. Il terapista che ha lasciato andare l’attaccamento al sé separato conosce la pace e la libertà di vivere senza attaccamento a  qualunque storia su come le cose sono o dovrebbero essere.

L’attaccamento di Linda al sé

Lo studio del seguente caso mostra come il problema della contrazione del sé possa venire elaborato nelle sedute di psicoterapia. Linda, che si avvicinava alla trentina, partecipava a uno dei primi gruppi di terapia dell’autore e aveva fatto progressi sostanziali nell’abbracciare quello che è e nel muoversi verso  l’essere. Era stata spinta alla terapia transpersonale dopo avere sperimentato stati alterati di coscienza e intensi movimenti energetici nei chakra. Durante una sessione di gruppo, mentre stava assimilando l’insegnamento, cominciò a provare una profonda onda di energia che l’attraversava e lei le resisteva. Mi scrisse:
 “Ho iniziato a sentire e a visualizzare un’onda scura che rotolava e ruotava come una marea dentro di me. Mentre iniziava a staccarsi dallo sfondo e a mettersi in evidenza nella mia coscienza ho avuto una sensazione sempre più profonda che resisterle e resistere a quello che rimestava e portava alla superficie mi avrebbe solo dato più anni di lotte, e io di lotte ne avevo avute abbastanza. Il mio insegnante ha pronunciato la parola “molla!” (in inglese anche “goccia”, drop NdT). Ho sentito letteralmente una goccia dentro di me e tutto è cambiato agli occhi della mente. Lentamente ho visto che qualcosa stava cambiando sul foglio di carta. Come sbuffi di inchiostro su una brocca d’acqua il colore ha iniziato a penetrare lentamente nel foglio formando un’immagine. Guardando l’immagine ho iniziato a vedere che era un autoritratto della figura che stava guardando, ma che non la stava dipingendo lei perché non c’era nessuno, stava solo accadendo lentamente per conto suo.
Era come se i miei pensieri fossero una voce narrante per questa parte dove la figura era l’attrice. Come a un segnale lei, a questa realizzazione girò la testa verso di me facendomi venire un brivido. Non aveva nessun volto. Nulla. Priva di espressione, priva di carattere, priva di personalità e di identità, il suo volto non era nulla. Fu un momento di completo orrore perché fu soltanto allora che seppi che quella figura era me.
“Chi diavolo sta guardando questo?” pensai “se quello è me?” La faccia naturalmente non disse nulla, nemmeno telepaticamente. Stava solo guardando me, chiunque fosse questo “me”. Le cose iniziarono a farsi veramente intense. Pensai che ero un osservatore non rilevato, non sapevo che lei sapesse che stavo guardando ed era come se me lo comunicasse con quello strano gesto di girarsi verso di me come nulla. Cominciai a chiedermi chi fosse realmente l’osservatore…”.
In questa esperienza Linda era rimasta shockata per  la breccia del non-sé che si era aperta dentro di lei e l’incapacità della mente a capire che cosa stesse accadendo. Aveva sentito una perdita di orientamento e di centratura in cui non poteva riconoscersi. Sentiva come se stesse perdendo la testa. La invitai ad arrendersi, a smettere di cercare di salvarsi e di arrendersi all’esistenza. Linda doveva lasciar andare l’intero show della sua esistenza separata perché l’opporsi le creava solo sofferenza

Quando lo studente finalmente si stabilizza in questa esperienza di vuoto manchevole (deficient emptiness), accogliendolo senza giudizio, rifiuto o reazioni, vede che è uno stato di non-sé, o, più specificamente, di non identità. Quando sperimentiamo pienamente questo stato di sé non identificato, si trasforma naturalmente e spontaneamente in una vastità luminosa, una profonda spaziosità, un vuoto colmo di pace.

Mentre Linda stava lì seduta era chiaro dal rilassarsi della sua energia che stava lascandosi andare. Rimanemmo seduti lì nell’immobilità meditativa del momento e poi Linda espresse sorpresa che l’arrendersi potesse cadere istantaneamente, tutto in un momento. Risposi che il vero arrendersi accade nell’intensità del momento.
Poi mi fece la domanda classica: “come posso mantenere questo stato?” Le suggerii di vedere come si stesse ripetendo ancora l’aggrapparsi al sé separato perché ora stava cercando di mantenere permanente questo stato meraviglioso. “In realtà” dissi “ non c’è nulla che tu possa fare. Devi solo arrendere tutta te stessa in ogni momento

L’arrendersi di momento in momento

“Il tempo trascorso da quel momento di intensa disperazione è stato piuttosto interessante. La mia vita è diventata sempre più impregnata con questo senso di assenza di significato mentre simultaneamente è diventata satura e arricchita. Cado sempre più profondamente nel momento e la sua intensità talvolta è così cruda (forse riferito all’assenza di concettualizzazioni? Ed è così che si manifesta la bellezza! N.d.T.) da farmi dimenticare quello che sto facendo e qualche volta il mio ego lo trova imbarazzante. Ma la bellezza è sempre più visibile ed è dappertutto e in ogni cosa. La cosa che ho realizzato negli scorsi anni sulle esperienze transpersonali e i vari livelli di coscienza è la loro impermanenza. Cioè l’inevitabilità di arrendersi a quello che è con fede irremovibile  nell’esistenza ancora e ancora, ogni volta”.

Papaji diceva che per lui non c’era una resa definitiva ma che, di fatto, si arrendeva in ogni momento fino al momento della sua morte fisica.
Anche il Budda dovette scoprire che non esiste una realtà finale e che l’arrendersi comporta l’aprirsi alla realtà relativa del momento e arrendersi alla saggezza che incarna. Allo stesso modo Linda ha avuto un’esperienza di coscienza non-duale e del lasciar andare il suo sé separato, ma ora ha dovuto imparare ad abbracciare e a lasciar andare la realtà relativa di ogni momento

Zen non-duale

Adyashanti scrive di aver lavorato con tanti che hanno avuto esperienze di profondo risveglio ma che incarnare quel risveglio nella vita quotidiana è una sfida molto più difficile. La nostra tendenza umana a scivolare indietro nei comportamenti tipici del sé separato coi suoi attaccamenti può essere enorme. Non esiste un rifugio conclusivo, permanente, tuttavia l’invito a lasciarci andare ci ammicca in ogni momento…e ancora, nel prossimo momento.

Paradoxica: Journal of Nondual Psychology, Volume 1: Spring 2009

Commento: dopo tanto cercare anche i neuro scienziati e molti psicoterapeuti intuiscono che il “soggetto” in realtà non esiste. O perlomeno soggetto e oggetto sono parte dello stesso riflesso in cui ai nostri occhi appare la realtà. O che tutto è alternativamente un unico soggetto impersonale in cui tutto avviene in sé o una realtà oggettiva dove il soggetto nasce e viene riassorbito come temporanea illusione. Siamo all’inizio di una fase dove il risveglio smette di essere una fenomeno eccezionale, di nicchia per allargarsi anche ai non “seri ricercatori” (secondo la definizione di Andrew Cohen). E allargandosi la coscienza risvegliata diventa sempre più accessibile e il salto meno eccezionale e drammatico.