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ILLUMINAZIONE E PRESENZA - Tony Parsons

L’illuminazione ha una qualità che è il ponte tra il senza tempo e il nostro senso illusorio di separazione. Questa qualità è la presenza. La presenza è la nostra natura costante, ma il più delle volte l’interrompiamo vivendo in uno stato di aspettative, motivazioni o interpretazioni.
Non siamo quasi mai a casa.
Solo qui, nella consapevolezza presente di quello che semplicemente è, ci può essere libertà dall’immagine di sé che ci siamo costruiti.

La presenza è una qualità di consapevolezza che dà il benvenuto, che è aperta a qualunque cosa, che è dedicata semplicemente a “quello che è”. Inizialmente ci può essere ancora qualcuno che è consapevole e c’è anche quello di cui è consapevole, il suono dell’acqua che scorre, il sapore del tea, il sentimento di paura o la sensazione di essere seduto. E poi ci può essere un lasciar andare colui che è consapevole, e tutto quello che rimane è presenza. Tutto questo è completamente senza giudizio, senza analisi, senza un desiderio di arrivare ad una conclusione o di diventare qualcosa in particolare.
C’è semplicemente “quello che è”.
La presenza è completamente senza sforzo e più vicino a me del mio stesso respiro. Si può solo permettere alla presenza di manifestarsi e riconoscerla. Quello che invece in genere facciamo è di schivarla o di interromperla.

L’esistenza non sarebbe se non fosse per la presenza. Io sono presenza e tu sei presenza.
Se non fossimo presenti l’esistenza non sarebbe. La presenza emana dalla sorgente di tutto e di ogni cosa, nota o ignota. Ed è quello che siamo. Siamo la sola sorgente della nostra creazione unica.
La presenza è la luce nell’oscurità. Un momento di presenza porta più luce nel mondo di migliaia di anni di cosiddette ‘buone azioni”. Nello stato di presenza tutte le azioni sono limpide e libere.
E’ una spontaneità che nasce dall’immobilità del silenzio.
Col permettere la presenza tuttavia abbracciamo una specie di morte. Quello che muore sono le nostre aspettative, giudizi e sforzi di diventare qualcuno. Quello che muore è quello che ci tiene separati, il senso di identità di sé, che può funzionare solo nel mondo illusorio del passato e del futuro, della memoria e delle aspettative.
In questo senso abbracciare la presenza è una specie di morte. Quello che muore è il sogno dell’individualità. Quello che lasciamo andare è il nostro bisogno incessante di sentire che siamo un’entità separata, che continueremo come una parte del tutto. E in quel lasciar andare scopriamo che ogni morte è una rinascita nella liberazione.

Siamo a cavallo del paradosso vivente e permettiamo l’emergere della libertà dall’incessante movimento  verso il divenire.