L’illuminazione
ha una qualità che è il ponte tra il senza tempo e il nostro senso
illusorio di separazione. Questa qualità è la presenza. La presenza è la
nostra natura costante, ma il più delle volte l’interrompiamo vivendo
in uno stato di aspettative, motivazioni o interpretazioni.
Non siamo quasi mai a casa.
Solo
qui, nella consapevolezza presente di quello che semplicemente è, ci
può essere libertà dall’immagine di sé che ci siamo costruiti.
La
presenza è una qualità di consapevolezza che dà il benvenuto, che è
aperta a qualunque cosa, che è dedicata semplicemente a “quello che è”.
Inizialmente ci può essere ancora qualcuno che è consapevole e c’è anche
quello di cui è consapevole, il suono dell’acqua che scorre, il sapore
del tea, il sentimento di paura o la sensazione di essere seduto. E poi ci può essere un lasciar andare colui che è consapevole, e tutto quello che rimane è presenza.
Tutto questo è completamente senza giudizio, senza analisi, senza un
desiderio di arrivare ad una conclusione o di diventare qualcosa in
particolare.
C’è semplicemente “quello che è”.
La
presenza è completamente senza sforzo e più vicino a me del mio stesso
respiro. Si può solo permettere alla presenza di manifestarsi e
riconoscerla. Quello che invece in genere facciamo è di schivarla o di
interromperla.
L’esistenza non sarebbe se non fosse per la presenza. Io sono presenza e tu sei presenza.
Se
non fossimo presenti l’esistenza non sarebbe. La presenza emana dalla
sorgente di tutto e di ogni cosa, nota o ignota. Ed è quello che siamo. Siamo la sola sorgente della nostra creazione unica.
La presenza è la luce nell’oscurità.
Un momento di presenza porta più luce nel mondo di migliaia di anni di
cosiddette ‘buone azioni”. Nello stato di presenza tutte le azioni sono
limpide e libere.
E’ una spontaneità che nasce dall’immobilità del silenzio.
Col
permettere la presenza tuttavia abbracciamo una specie di morte. Quello
che muore sono le nostre aspettative, giudizi e sforzi di diventare
qualcuno. Quello che muore è quello che ci tiene separati, il senso di
identità di sé, che può funzionare solo nel mondo illusorio del passato e
del futuro, della memoria e delle aspettative.
In questo senso abbracciare la presenza è una specie di morte. Quello
che muore è il sogno dell’individualità. Quello che lasciamo andare è
il nostro bisogno incessante di sentire che siamo un’entità separata,
che continueremo come una parte del tutto. E in quel lasciar andare
scopriamo che ogni morte è una rinascita nella liberazione.
Siamo a cavallo del paradosso vivente e permettiamo l’emergere della libertà dall’incessante movimento verso il divenire.