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TORNARE A CASA...- D. Westmoreland


Il sottobosco

Entrando in una stanza… ho cominciato a cercarti e non sapevo che fare se non sedere lì in timore reverenziale, non sapendo quanto cieca fossi, il viso tutto caduto nelle palme delle mani, quando qualcosa mi ha chiesto di guardare su e sapevo che quello che non era mai stato giusto stava per essere la cosa più dannatamente giusta che mai, così ho guardato su e mi sono presa il benedetto bacio proprio nel mezzo del viso. Gli amanti non si incontrano alla fine da qualche parte, sono sempre stati l’uno nell’altro; così paralizzata da quel momento, che tu hai continuato ad avere ragione di me e mi hai fatto dire tutti i miei segreti attorno a qualche fuoco con degli estranei, che comunque erano  stati i miei fratelli e sorelle per tutto il tempo.
 Penso, quella notte, di aver guidato a casa o forse tu mi hai guidato a casa. Ricordo che era la prima volta che non sapevo che ora fosse o dove si supponeva che fossi o quanti giorni prima che dovessi pagare qualche conto.
Ricordo che c’era un sacco di gioia. Così tanta gioia che mi chiedevo se qualcuno mi avesse finalmente riempito con una buona dose di baci e come l’ebbrezza scorresse su attraverso ogni vertebra fino a  far scoppiare la cima della testa come Emily Dickinson diceva avrebbe fatto, perché la poesia che si forma attorno  ad ogni momento per poi non apparire più non sembrava mi avrebbe lasciato com’ero…. Tutto era andato. Andato da tempo con tutte le nitide piccole domande, tutte le vane speranze perplesse e i desideri contorti, opinioni ristrette e evidenza circostanziale.
Tutta bastonata e sveglia ho fatto un mezzo tentativo di guidare cento miglia fuori città e poi sono tornata indietro per trovare un nuovo posto che era il vecchio posto. C’era solo una coperta, un tappeto, due  cani e la tua voce divina che diceva “Eccoti qui”.
Ora mi sposto da un piede sbilanciato dalla paura a una posizione sulle mani di irreversibile amore, mentre continuo a camminare rovesciata verso la piattaforma a malapena lì di qualche volta sempre, per vedere l’abisso del mio letto finale; il battito del tuo cuore, il vulcano e la furia e lo splendore della caduta libera.
Cielo notturno

Roteando in questa corrente di abisso. Nel fiume, nuoto senza direzione, onnipresente e mai-presente…Mi muovo, lungo questo orizzonte, questa aureola, il mio alone, indifferenziato, radioso. Bello. Sempre più bello. Sola e senza preoccupazioni, senza un pensiero mio, osservo. Nulla disturba. Dimenticando il linguaggio e incapace di riconoscere le parole, trovo passeggiate e risate coi miei amici contenti, i miei doppi; tutto che si espande con me come apparizione, controparte, gemello, doppio, due di non due. Replica, ripeti, dividi, poi disintegra.
Ma altre immagini nascono, volti luminosi e parole tenere, sorrisi e gesti di mani e labbra, braccia che mi abbracciano. I saluti e i come stai e i siediti con me. Muta, senza lingua come il tempo, faccio una domanda al Divino: L’Alta Indifferenza (Il testimone imparziale e non-partecipante, la Coscienza, N.d.T.) è tutto quello che c’è da conoscere? Divento ansiosa sugli attaccamenti ad altri o, piuttosto, l’apparente mancanza di attaccamento a quelli che amo. Cresco nella vicinanza senza le ancore dei sentimenti.
La Coscienza porta un’intimità come un onda che sto per sperimentare in tutti i suoi modi intricati. Tuttavia dov’è il mio cuore? Si fa strada la paura di non riuscire più ad agire. Chiedo “che cos’è questo?” e aspetto. Non c’è altro che la Coscienza e il Vuoto…eppure
Aspetto i suoi modi.

Viene la notte e così anche il cielo vasto e stellato. La nebulosa a rosetta  si apre da dentro di me. Davanti a me e dentro di me i gas delle galassie cantano un ritornello dell’origine da dove io sono venuta, colori brillanti di cieli e luci, nuvole effimere coi colori dolci come le sopracciglia e i gigli, scure come il fuoco e l’anelare. Piango perché Questo è vasto e insondabile. Perché Questo è il mio cuore. In questo vuoto sono finalmente introdotta a Dio e all’Amore, alla meraviglia dell’Altro. Soccombo al Nulla, al Divino. Perdo dimensione e le lenti diventano grandi, distorte come un occhio di pesce con infinitamente di più da rivelare. Sono sempre stata in paradiso. Negare qualunque cosa come non perfetta è il peccato e il dolore.
Attraverso il fitto bosco—Shangri-La

C’è la perdita del sé, c’è il conoscere Dio e amare Dio e poi c’è quella Luce immutabile, la penetrazione chiara, lo scavare giù fino a che le sorgenti esplodono senza restrizioni. Srotolata, strappata dalle radici,
senza vincoli, allentata, liberata. In un secondo fatidico, irriconoscibile  in cui stavo per essere soppesata dal segreto della vita, desiderando nulla, contenta di essere senza un sé e di conoscere l’Amore ho messo la mia faccia su uno steccato di freddo metallo e ho guardato nel bosco.
Spesso e pesante di vecchie cortecce e aghi di pino, gemme germoglianti di alberi caduchi, e canti di uccelli che echeggiavano tutt’attorno, una sanguinella che fioriva vicino a me nel mezzo di tenere foglie scanalate. Fiori a coppa con quattro petali bianchi, coronati da un pallido cremisi, in piena fioritura annunciavano, all’unisono, la corona panna verdeggiante centrata nella bellezza delle brattee. Un fiorire così amato con reverenza sin dall’infanzia che non ne avevo mai raccolto uno dai suoi rami. Un simbolo della via. La crocefissione. La morte. La resurrezione. La vita.
In quel momento, che è questo momento, il mio cuore ha parlato ad ogni cosa, questo grido potente alla creazione, ‘Io sono la Sorgente’. Non si è mai mossa. Non si sta mai muovendo. Non si muoverà mai. Senza dimensione, il dito tracciante di  Tutto, infinitesimo nelle sue azioni.
 Senza stato.

 Senza forma.

 Esplosivo.

 Questo punto,

 questa immobilità.

 Casa.

Fonte: "Ritornando nel luogo libero e primitivo",  http://tatfoundation.org/forum2012-07.htm#3